La Red III ha confermato la classificazione di questa fonte tra le rinnovabili ed escluso la definizione di biomassa primaria. Ora però serve una nuova forma di supporto, spiega il presidente di Associazione Ebs, Antonio Di Cosimo
Se c’è una fonte rinnovabile che rispetta in pieno tutti gli obiettivi della famosa transizione ecologica di cui tanto si parla: sostenibilità, economia circolare, taglio delle emissioni, questa è quella delle biomasse solide. Un settore che ha un giro d’affari di 650 milioni di euro e che dà lavoro ad oltre 5000 persone, eppure, per uno di quei strani paradossi di questo paese, è un settore che continua a rimanere ai margini. Ma forse qualche piccolo spiraglio di luce, dopo anni di diffidenza e di critiche verso quella che è una delle più sicure, produttive e resilienti tra le energie rinnovabili, comincia ad intra- vedersi all’orizzonte. Il recente via libera delle nuove linee guida della direttiva europea Red III sembra dare qualche piccolo e timido segnale di attenzione verso il settore. «Siamo soddisfatti per i miglioramenti introdotti nel nuovo testo della direttiva Red III: grazie alla programmabilità, le biomasse solide possono dare un contributo importante alla produzione energetica da rinnovabili e all’indipendenza del nostro Paese dall’estero», dice Antonio Di Cosimo, presidente dell’Associazione Energia da Biomasse Solide (Ebs), che dal 2016 raggruppa i principali produttori di energia elettrica da biomasse solide: 15 operatori e 19 impianti di taglia superiore ai 5 MW su tutto il territorio nazionale. La capacità complessivamente installata, di circa 300 MWe, genera una produzione elettrica annua superiore ai 2.100 GWh, impiegando circa 2,5 milioni di tonnellate di biomassa solida, di cui più del 90% prodotta in Italia.
«Ora attendiamo di comprendere meglio i dettagli relativi alla regolamentazione dei supporti da riconoscere al nostro settore, l’unico nell’ambito delle rinnovabili a sostenere il costo dell’approvvigionamento della materia prima per la sua stessa natura. Auspichiamo che nei prossimi atti, a livello sia europeo sia nazionale, venga riconosciuta la peculiarità del settore per consentire agli operatori di mantenere gli impianti in esercizio, contribuendo alla decarbonizzazione e alla mitigazione del cambiamento climatico».
Insomma, presidente: comincia forse a vedersi qualche spiraglio di luce dalla nuova direttiva Red III?
«Certamente, ma la strada è ancora lunga ed irta di ostacoli, anche perché noi stiamo aspettando ancora il Fer 2, cioè il decreto attuativo della direttiva Red II, che è neces- sario per dare ossigeno ad un settore che senza un nuovo sistema incentivante è a se- rio rischio di chiusura da qui a pochi anni, quando scadranno le attuali regole di in centivazione. Il Fer 2 doveva essere appro- vato a giugno 2022. È vero che il mondo in questo ultimo anno e mezzo ha subito stra-volgimenti difficilmente preventivabili, ma sarebbe giunto il momento di agire. Anche perché senza il Fer 2, avremo seri problemi con la Red III che prevede dal 2026 lo stop a qualunque incentivo. Insomma il tempo stringe ed occorre che, come abbiamo già richiesto, si apra un tavolo tecnico cori tutti i soggetti interessati per decidere congiuntamente come attuare le nuove direttive e come mettere in pista un nuovo sistema di supporto vitale per un settore che non è in grado di sostenersi da solo, per gli altissimi costi di produzione »
Leggi l’intera intervista su Economy di luglio 2023